mercoledì 3 aprile 2024
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martedì 26 gennaio 2021
APOCALISSE 12–20: Struttura letteraria e istruzioni per la sua interpretazione - R. Ammannati
Fra gli scritti del Nuovo
Testamento l’Apocalisse è il libro che, nel corso dei secoli, ha destato più
di tutti la curiosità di numerose generazioni di Cristiani
e non: ancora alla fine del XX
secolo, ricordava lo storico Romolo Gobbi, venivano pubblicate ogni anno decine
di libri sull’Apocalisse,[1]
segnale di un mai sopito interesse nei confronti dell’opera. La ragione di tanto interesse risiede nel messaggio
misterioso che l’autore, costretto per la sua fede in Gesù Cristo all’esilio
forzato sull’isola di Patmos, aveva indirizzato alle prime comunità cristiane.
Chi, nel corso dei secoli seguenti, più o meno
autorevolmente si è accostato all’opera, non ha potuto far a meno di constatare
l’enorme difficoltà nell’interpretare il contenuto ed il significato delle
visioni avute in estasi dall’esule Giovanni, difficoltà peraltro riscontrate
già dai primi esegeti: alcuni decenni dopo la sua redazione, infatti, l’opera
risultava incomprensibile mentre impenetrabile appariva la foresta dei simboli
che la popolava. L’incapacità oggettiva di una corretta esegesi permise, già alla
morte di Giovanni, la diffusione delle più svariate interpretazioni, delle
quali una finiva per imporsi sulle altre e diventare quella ufficiale ed
ortodossa. Così, ad esempio, a partire dal II secolo, la bestia emergente dal
mare (Apocalisse 13) finì per simboleggiare l’Impero Romano, i cui tratti
diabolici ed anticristici sembrarono emergere chiari ed isolati con le prime
persecuzioni (sotto gli imperatori Nerone e Domiziano) e la distruzione di
Gerusalemme nel 70 d.C.. Tale identificazione era la diretta conseguenza
dell’interpretazione della nota visione delle quattro fiere di Daniele
(capitolo 7 del libro omonimo dell’Antico Testamento), da sempre considerata
nei circoli giudaici come la testimonianza del carattere diabolico delle
istituzioni mondane. Gli Ebrei del I secolo d.C., identificando la quarta ed
ultima bestia della profezia veterotestamentaria con Roma, determinarono
l’interpretazione cristiana della mostruosa fiera di Apocalisse 13, visto che questa
è raffigurata unendo elementi delle quattro bestie descritte in Daniele.
La cristianizzazione dell’Impero, a partire dal IV
secolo, sembrava dare ragione a quell’interpretazione visto di Giovanni prevedeva
l’imminente ritorno di Cristo e l’instaurazione del suo Regno dopo la caduta
della bestia apocalittica (Apocalisse 19 e 20). Si innescò
a quel punto, all’interno del giovane mondo cristiano, la cosiddetta polemica
millenarista. Con la libertà di culto concessa dall’imperatore e col credito da
lui accordato alla nuova religione, la Chiesa trovò a condividere con l’Impero
le sorti del mondo antico. Ritenendo prossimo il ritorno di Cristo sulla base
della profezia di Giovanni, i millenaristi avevano tuttavia finito per mettere
in discussione l’autorità ed il potere della Chiesa e dei suoi vescovi. A porre termine alle dispute esegetiche intervenne
l’interpretazione di S. Agostino, che nel De
Civitate Dei indicava il tempo del regno millenario come il tempo del quale
«attualmente scorrono le fasi di successione» (Civitate Dei XX, 7.2). Da quel
momento fino al Medioevo nessuno osò mettere in dubbio l’impostazione generale
dell’interpretazione offerta dal vescovo di Ippona. Occorrerà
attendere il XII secolo per vedere elaborata una nuova e interpretazione,
avente pochi punti in comune con quella agostiniana. Autore fu Gioacchino da
Fiore, monaco cistercense ed esegeta, nato e vissuto in Calabria. Per quanto
geniale ed originale potesse apparire la lettura dell’abate florense, al pari
di tutte le altre interpretazioni passate era priva di qualsiasi
criterio metodologico: Gioacchino basava infatti
l’autorevolezza della sua lettura su presunte doti intuitive, se non sul dono
dell’illuminazione. Si dovrà attendere il XVII secolo per vedere affrontata l’interpretazione
delle visioni giovannee con una certa scientificità,[2] e soltanto il XIX secolo per vedere la critica
letteraria applicata allo studio dell’Apocalisse.[3] In tale ottica gli studiosi,
prima ancora di tentare l’interpretazione, si riproponevano di individuare la
struttura narrativa, convinti che essa avrebbe offerto preziosi indizi per
penetrare il significato ultimo dell’opera. Nonostante gli sforzi profusi negli
ultimi due secoli, la ricerca sembrava non aver prodotto sviluppi
significativi, al punto da far dichiarare ad Eugenio Corsini, uno dei più noti
studiosi italiani dell’Apocalisse, che ancora alla fine del XX secolo non si aveva
«la più pallida idea di come
Giovanni intendesse ripartire l’opera».[4] Tale perentoria affermazione
conduce alla conclusione che o l’Apocalisse non ha una sua chiara struttura
narrativa oppure che ce l’ha ma dopo diciannove secoli non è stata ancora
individuata.
Il seguente articolo non
intende proporre alcuna interpretazione dell’Apocalisse né analizzare l’intero
scritto di Giovanni ma si limita a: 1) sostenere che la seconda parte dell’Apocalisse (capitoli 12 – 20) ha senza
ombra di dubbio una sua chiara struttura letteraria; 2) spiegare le ragioni per
le quali essa è rimasta nascosta per secoli; 3) mettere in evidenza la sua struttura
narrativa; 4) introdurre, sulla base di questa scoperta, i criteri per una
corretta esegesi.
Dal II secolo fino al XVII il testo non era mai
stato analizzato, come s’è già detto, in maniera scientifica. Quando iniziò ad esserlo, però, un enorme
ostacolo avrebbe impedito la sua interpretazione. L’ostacolo era una
manipolazione sul testo così imponente da risultare invisibile agli occhi degli
esegeti moderni e contemporanei, i quali con lente e microscopio si accingevano
ad analizzare ogni parola ed ogni sfumatura del testo giovanneo ma perdevano di
vista l’opera nel suo complesso. In cosa consiste tale manipolazione? Chi oggi
consulta la Bibbia, la trova suddivisa in libri ed ogni libro sezionato a sua
volta in capitoli. Pochi sanno quando tale “operazione chirurgica” fu condotta
a termine. In Occidente, stando alla documentazione in nostro possesso,
l’ideatore fu un rappresentante della Chiesa inglese, Stephen Langton.[5] Nato
intorno al 1150, divenne una figura politica di rilievo e fonte di conflitto
fra poteri dopo la sua nomina papale ad arcivescovo di Canterbury. Il rigetto
della nomina da parte di re Giovanni ne causò infatti l’esilio in Francia, ove
Langton si laureò in teologia. Tornato in Inghilterra dopo l’atto di
sottomissione della corona inglese al papato, fra il 1214 ed il 1228 il vescovo
inglese produsse una Bibbia divisa in capitoli, identica a quella attuale. Fu
un’operazione di notevole rilievo, visto che ancora oggi viene universalmente
utilizzata per l’ovvia ragione che permette una facile consultazione del testo
sacro. Se da un lato l’impresa portata a termine da Langton è encomiabile,
dall’altro lato tale ripartizione fu condotta in modo intuitivo, senza alcuno
studio accurato sui testi, e ciò ha prodotto danni irreparabili sulla
comprensione di alcuni libri della Bibbia, primo fra tutti l’Apocalisse. Non
avendo idea di come Giovanni intendesse ripartire l’opera, Langton deve aver
seguito un criterio piuttosto rozzo. Poiché l’unico punto di riferimento certo
era la presenza di una serie di settenari, i quali fungevano da spartiacque tra
un brano e l’altro del racconto, il vescovo inglese fissò l’inizio di alcuni
capitoli con l’inizio dei settenari. Per esempio, il II capitolo inizia con la
prima delle sette lettere inviate da Giovanni alle comunità asiatiche. Per una
questione di rispetto del testo originale e della sua struttura, Langton avrebbe
dovuto inserire nel II capitolo tutto il settenario delle lettere. Tuttavia,
operando in questa maniera, si sarebbe trovato di fronte ad un primo problema,
almeno dal suo punto vista: il I capitolo includeva il cosiddetto prologo del
libro di Giovanni, il II capitolo tutto il settenario delle lettere. Questi due
primi capitoli avrebbero avuto ampiezze completamente differenti: molto breve
il I capitolo, molto più lungo quello seguente. Ed allora, per suddividere
l’intera Apocalisse in capitoli aventi una lunghezza simile, egli si decise a
suddividere il settenario delle lettere in due parti, la prima ricadente nel II
capitolo, la seconda nel III. In questo modo Langton definì l’ampiezza dei
capitoli successivi e lo “spezzettamento” di tutti i settenari in almeno due
parti. Per la suddivisione delle restanti parti del testo apocalittico, ossia quelle
al di fuori dei settenari e prive di una evidente struttura narrativa, il
vescovo inglese deve avere proceduto completamente alla cieca. Se, da un lato,
la suddivisione dell’Apocalisse in capitoli ha notevolmente aiutato i lettori
per una rapida consultazione del testo, dall’altro lato ha causato danni enormi
per la corretta interpretazione del testo giovanneo in quanto gli esegeti,
seguendo come pecorelle la ripartizione del vescovo inglese, hanno interpretato
l’Apocalisse capitolo per capitolo, perdendo di vista la struttura d’insieme.
Naturalmente i nostri studiosi e commentatori obietteranno che nessuno si è
lasciato ingannare da questa artificiosa suddivisione introdotta in epoca
medievale ma la verità, come vedremo, è differente.
Per gli scopi che questo saggio si prefigge, verrà
prestata attenzione iniziale a due soli capitoli dell’Apocalisse, il 12 ed il 13,
inquadrandoli tuttavia successivamente in un contesto che prenda in esame,
seppure sommariamente, il racconto dal capitolo 12 al capitolo 20.
La quasi totalità dei commenti prodotti negli
ultimi tre secoli considera il capitolo 13 alla stregua di un’unità letteraria
indipendente dal capitolo precedente. Cosa significa questa affermazione?
Significa che esso è stato immaginato o trattare lo stesso tema affrontato nel capitolo
precedente ma da una differente prospettiva oppure trattare un argomento completamente
svincolato. Invece, come vedremo, il blocco di capitoli 12 – 20 fanno parte di
un’unica struttura narrativa e non possono essere interpretati se non li si
considera nel loro insieme. Prima di scoprire la struttura letteraria nascosta
dietro il blocco di capitoli sopracitato, sarà bene presentare una breve carrellata
di interpretazioni errate, determinate dalla ripartizione in capitoli operata
da Langton. Al primo gruppo si incontrano ad esempio due studiosi di scuola
anglofona: Gregory K. Beale
sostiene che le visioni di Apocalisse 13, pur essendo letterariamente successive
ad Apocalisse 12, nascondono avvenimenti storici cronologicamente paralleli,
cosicché Apocalisse 13 spiegherebbe la stessa cosa del capitolo precedente ma
in maniera più dettagliata.[6] Richard
Bauckham ritiene invece che la ferita mortale della bestia in Apocalisse 13, 3
coincida con la caduta del diavolo dal cielo in Apocalisse 12, 9 - 11.[7]
Al secondo gruppo appartiene
ad esempio l’italiano Claudio Doglio, il quale pone in risalto come la seconda
parte del capitolo 12 assuma da un lato «la forma di una narrazione con episodi
in successione»[8] e, dall’altro, individui tre
differenti fasi persecutorie.[9] La sua tesi è ben chiarita
dallo schema riportato:
l «Quando il drago si vide precipitato in terra, cominciò a perseguitare la donna...» (Ap 12,13).
l «Allora il drago vomitò dalla sua bocca un fiume d’acqua per travolgere la
donna...» (Ap 12,15).
l «Allora il drago si infuriò contro la donna...» (Ap 12,17). [10]
Tuttavia Doglio, fedele alla
plurisecolare suddivisione dell’Apocalisse in capitoli, interpreta i capitoli 13,
14 e 15 non come la prosecuzione del racconto sviluppato in Apocalisse 12 ma
come l’introduzione al settenario delle coppe, tanto è vero che scrive: «La
narrazione dello scontro fra il serpente e la donna si interrompe alla fine del
cap. 12 … » ed i capitoli 13, 14 e 15 vengono da lui associati
all’interpretazione del settenario delle coppe.[11] Claudio
Doglio commette pertanto l’errore di seguire, nel suo commento, il criterio di
suddivisione in capitoli introdotto da Langton. Il capitolo 12 tratta un argomento
mentre il successivo un altro.
Per portare alla luce la struttura dei capitoli 12
- 20 dell’Apocalisse occorre assimilare il racconto ad un’opera letteraria. Il
migliore modello di riferimento, come vedremo, è la Divina Commedia, il poema
che narra di un viaggio
immaginario compiuto dal
suo autore attraverso i tre regni ultraterreni (Inferno, Purgatorio e Paradiso). Inoltratosi sottoterra nel
regno infernale, Dante lo percorre tutto fino ad emergere nell’emisfero opposto
dove si trova il regno della purgazione, rappresentato come una montagna alla
cui sommità si trova il Paradiso Terrestre. Da lì Dante ascenderà al cielo fino
a contemplare, nel luogo più elevato, la Trinità.
Un
tentativo di lettura finalmente svincolato dalla artificiosa segmentazione introdotta
da Langton è stato abbozzato da Pierre Prigent. Analizzando i capitoli 12 - 20,
egli
tratta l’Apocalisse giovannea come un’opera letteraria e ritiene che sia di
primaria importanza rintracciare il filo narrativo che li tiene legati. Questo
filo è la vicenda del diavolo.[12] Nella
prima parte del racconto Giovanni localizza il diavolo in cielo. Ecco però che
scoppia un’epica battaglia: Satana e le sue legioni si scontrano contro
l’arcangelo Michele e le sue milizie celesti. La scena è descritta in poche ma
dense righe, capaci di colpire l’immaginazione del lettore. L’atmosfera
drammatica ci rimanda ad uno dei capolavori della pittura italiana di tutti i
tempi, uno degli affreschi realizzati da Luca Signorelli nella Cappella di San
Brizio nel Duomo di Orvieto, dove una schiera di angeli assistono, spada alla
mano, alla caduta verso il basso di mostruosi demoni.
Una volta caduto dal cielo,
inizia per il diavolo un nuovo periodo della sua vita, che si svolge tutto
sulla terra. La caduta dal cielo in terra a causa della battaglia persa contro
l’arcangelo Michele segna perciò lo spartiacque fra due momenti differenti
della vita del diavolo. Queste due fasi costituiscono rispettivamente il “ciclo
celeste” ed il “ciclo terrestre”. Dal punto di vista letterario, il “ciclo
celeste” occupa circa la prima metà del capitolo 12 mentre il “ciclo terrestre”
si estende in avanti fino al momento in cui il diavolo subisce la sua seconda
bruciante sconfitta: un angelo discende dal cielo e, come in una scena
dantesca, afferra Satana, lo mette in catene e lo spinge giù, dentro un pozzo abissale,
sigillandone l’apertura (Apocalisse 20, 3). Da questo momento il diavolo sarà
confinato sottoterra per un periodo di mille anni, da cui uscirà per l’ultimo
disperato tentativo di recuperare la sua signoria, almeno su una parte del cosmo.
Nonostante i suoi sforzi subirà l’ennesima sconfitta e sarà allontanato
definitivamente dal consorzio delle nazioni ed esiliato per sempre nello stagno di fuoco e zolfo (Apocalisse 20,10). In
sintesi, l’impianto narrativo della seconda metà del libro dell’Apocalisse si
sviluppa secondo la sequenza dei tre “cicli vitali” del diavolo: il “ciclo celeste”, il “ciclo
terrestre” ed il “ciclo sotterraneo”, una sorta di percorso dantesco
rovesciato, dove il diavolo, al contrario del Sommo Poeta, decade dal cielo fin
nel mondo sotterraneo passando per la terra. Il diavolo è definitivamente
esiliato solo dopo aver attraversato, in sequenza, tutti i mondi esistenti,
nella stessa maniera in cui Dante può ascendere al cielo solo dopo aver
attraversato «tutti i cerchi del dolente regno» (l’inferno) e scalato la
montagna del Purgatorio fino al Paradiso Terrestre.
Il “ciclo terrestre” del diavolo è, da un punto di
vista letterario, molto più ampio degli altri due: inizia a metà del capitolo 12
e termina all’inizio del 20. Nel suo interno si sviluppa, intersecata, la
vicenda di una bestia marina, descritta per la prima volta all’inizio del
capitolo 13 e citata per l’ultima volta alla fine del 19. Tutti i commentatori dell’Apocalisse hanno
posto in risalto, come era scontato che fosse, il legame fra l’ultima bestia in
Daniele 7 ed il mostro del capitolo 13. Le sembianze del mostro marino rimandano
immediatamente alle quattro bestie veterotestamentarie: alla terza, la pantera,
per quanto riguarda il corpo, alla seconda, l’orso, per le sue zampe, alla
prima, il leone, per la sua bocca. È dotato di sette teste e dieci corna,
quante sono complessivamente le teste e le corna delle quattro bestie in
Daniele.
Le
somiglianze fra il mostro marino di Apocalisse 13 e la quarta bestia di Daniele
7 non si esauriscono tuttavia nel loro aspetto. Dell’ultima bestia Daniele
scrive che possiede requisiti tali da farla differire e distinguere in eccesso dalle tre precedenti. Mentre
le prime tre estendono il loro dominio su aree geografiche più o meno vaste,
dell’ultima è detto che divorerà tutta la terra, la stritolerà e la calpesterà
(Dn 7, 23). Nell’Apocalisse tutta la terra va dietro alla bestia marina (Ap 13,
3); le è dato potere sopra ogni stirpe, sopra tutti i popoli, sopra ogni
nazione di qualsiasi lingua (Ap 13, 7). Inoltre la bestia dell’Apocalisse emerge
dal mare come le bestie di Daniele e viene sconfitta per sempre ed annichilita (Ap
19, 20) come l’ultima fiera della profezia veterotestamentaria (Dn 7, 26).
Una
volta sconfitta la bestia, Daniele narra dell’allestimento di un tribunale
divino (Dn 7, 9 e 7, 22). L’Apocalisse, a differenza di Daniele che ne riporta
uno, mostra due giudizi: un primo, temporaneo, ed un secondo, finale. Il primo
è situato temporalmente alla fine del regno del mostro marino ed
all’incatenamento temporaneo del diavolo, mentre il secondo segue
immediatamente la sconfitta finale di Satana. Ciò è dovuto al fatto che
l’Apocalisse canonica introduce, come del resto fanno le altre due apocalissi
coeve (il Quarto Libro di Esdra e l’Apocalisse siriaca di Baruch), un regno
messianico che precede il regno eterno finale di Dio. Il primo giudizio nell’Apocalisse
viene emesso dopo la caduta definitiva della bestia e del falso profeta e
l’incatenamento provvisorio del diavolo: «Poi
vidi alcuni troni e a quelli che vi si sedettero fu dato il potere di
giudicare. Vidi anche le anime dei decapitati a causa della testimonianza di
Gesù e della parola di Dio, e quanti non avevano adorato la bestia e la sua
statua e non ne avevano ricevuto il marchio sulla fronte e sulla mano. Essi
ripresero vita e regnarono con Cristo per mille anni» (Ap 20, 4). Il
secondo giudizio segue la sconfitta finale del diavolo: «Vidi poi un grande trono bianco e Colui che sedeva su di esso. Dalla
sua presenza erano scomparsi la terra e il cielo senza lasciar traccia di sé.
Poi vidi i morti, grandi e piccoli, ritti davanti al trono. Furono aperti dei
libri e fu aperto anche un altro libro, quello della vita. I morti vennero
giudicati in base a ciò che era scritto in quei libri, ciascuno secondo le sue
opere. Il mare restituì i morti che esso custodiva e la morte e gli inferi
resero i morti da loro custoditi e ciascuno venne giudicato secondo le sue
opere. Poi la morte e gli inferi furono gettati nello stagno di fuoco. Questa è
la seconda morte, lo stagno di fuoco. E chi non era scritto nel libro della
vita fu gettato nello stagno di fuoco» (Ap 20,11-15). Vari studiosi hanno
rilevato come nelle immagini dei due giudizi riecheggi la visione della corte
celeste presentata in Daniele 7. Per quanto riguarda il primo giudizio, oltre a
Wikenhauser[13]
e Lohse,[14]
Ravasi sottolinea in particolare come l’immagine complessiva derivi da Daniele
7, che è insieme «una delle fonti principali»[15] e
«più care a Giovanni».[16] Per
ciò che concerne il secondo giudizio, Wikenhauser individua in Dn 7,10 la sua
fonte letteraria e teologica.[17] A Dn
7,9-10 fa riferimento Lohse,[18]
mentre Massyngberde Ford parla di evidente influenza di Daniele 7,9-14.[19]
Tuttavia è sempre Ravasi ad annotare puntualmente come tutta la scena sia
«costruita da Giovanni ricorrendo alla sua fonte privilegiata, il libro di
Daniele».[20]
Da quanto esposto, risalta in modo palese come, a partire da Ap 13 fino ad Ap
20,4, l’Apocalisse segua in modo più o meno rigoroso il modello strutturale di
Daniele 7: alla sconfitta della bestia segue un giudizio divino.
Appurato
che la struttura di Apocalisse 13 – 20 segue il racconto di Daniele 7 per
quanto riguarda la quarta bestia ed il giudizio finale, rivolgiamo ora la
nostra attenzione alla prima parte del racconto del “ciclo terrestre” del
diavolo, ossia la sezione ricadente nel capitolo 12. Autori come Doglio hanno
messo in rilievo come essa si componga di tre quadri distinti che narrano tre
differenti fasi persecutorie. Esse precedono l’emersione della bestia nella
stessa maniera in cui tre fiere (rappresentanti tre distinti regni) precedono
l’emersione della quarta bestia di Daniele. Dunque tutta la sezione del
racconto apocalittico di Giovanni costituente il ciclo terrestre del diavolo è
stato pertanto costruito su Daniele 7: come Daniele 7 è costituito da quattro
quadri letterari, di cui l’ultimo caratterizzato dall’emersione di una
mostruosa bestia, la cui caduta conduce al giudizio finale, così anche
Apocalisse 12, 13 – 20, 5 è costituito da quattro quadri letterari, di cui
l’ultimo caratterizzato dall’emersione di una mostruosa bestia, la cui caduta
conduce ad un primo giudizio, descritto prendendo in prestito il linguaggio del
giudizio finale di Daniele 7. Che Ap 12,13 – 20, 5 sia costruito su Daniele 7 sono infine
altri indizi a provarlo:
1. la
differente ampiezza narrativa del quarto ed ultimo “periodo danielico” presente
nell’Apocalisse (Apocalisse 13 - 19) rispetto alle tre precedenti (rispettivamente
Apocalisse 12,13-14, Ap 12,15-16, Ap 12,17-18). Esso risulta notevolmente più
lungo, in ciò mantenendosi in linea con il testo di Daniele 7, ove si noterà un
significativo indulgere nella narrazione del periodo di dominazione dell’ultima
bestia, mentre i periodi di dominazione delle prime tre bestie sono riportati
in modo più breve.
2. l’immagine
del Figlio d’uomo, che Giovanni propone nel capitolo 14 e che è presente anche
in Daniele 7 (Dn 7,13). È la seconda ed ultima volta che Giovanni la adotta, e
ciò con uno scopo chiarissimo: riprodurre, per quanto gli è possibile,
l’architettura strutturale della visione dei quattro imperi di Daniele. In
Daniele, infatti, la figura appare in una fase intermedia della visione
generale (Dn 7,13-14), nella quale l’autore del testo ha introdotto il tempo
d’azione della quarta bestia (Dn 7,7-8) ma non ha rivelato l’esito
dell’intervento divino contro di lei. Giovanni farà lo stesso, introducendo
l’immagine del Figlio d’uomo all’interno dell’ultimo periodo persecutorio,
entro l’intervallo dei capitoli 13 - 19, cioè all’interno del racconto delle
vicende dell’ultimo regno, quello della bestia emersa dal mare. Il Figlio
d’uomo compare inoltre dopo che sono stati presentati da Giovanni tre angeli
(Ap 14,6-11) ma prima che altre tre figure angeliche appaiano sulla scena (Ap
14,15-18). Il Figlio d’uomo è al centro di questa narrazione, il che sembra
trasferire sul piano temporale la scena di una corte celeste con al centro il
re, che Daniele evoca invece sul piano spaziale (Dn 7,9-10; inoltre Dn
7,13-14).
3. Infine,
nella prima fase del “ciclo terrestre” (Apocalisse 12,13-14) il diavolo è inizialmente avvistato da Giovanni
all’inseguimento della donna. Ecco allora che la donna, per salvarsi, riceve “le
due ali della grande aquila” per fuggire nel deserto, luogo irraggiungibile (è
lontana perfino dalla vista del drago) e di solitudine, ma anche di
sopravvivenza, dal momento che le è garantito il nutrimento. La ricerca della
fonte del simbolo delle ali nell’Antico Testamento ha concentrato l’attenzione
su Daniele 7, con la visione delle quattro bestie emergenti dal mare; è là che
l’aquila e le ali fanno la loro comparsa: «E
quattro bestie enormi, diverse l’una dall’altra, salivano dal mare. La prima
era simile ad un leone, che aveva ali d’aquila. Io stavo a guardare, quand’ecco
le vennero tolte le ali, fu sollevata da terra e fatta rizzare sui piedi come
un uomo, e le fu dato un cuore umano» (Dn 7,3-4). In Daniele si fa
riferimento ad ali d’aquila (come specificato dallo stesso profeta), innestate
su un corpo di leone, così da rappresentarlo come un leone alato. In Ap 12,14
si fa riferimento alle «due ali della grande aquila», le quali sono date alla
donna per volare nel deserto, facendola divenire una donna alata. Il
procedimento di costruzione dell’immagine giovannea sembrerebbe a questo punto
il medesimo utilizzato in Daniele: sulla figura simbolica, oggetto della
profezia, sono montate le ali d’aquila. La donna di Ap 12,14 assume, con la
donazione delle ali, le sembianze di una donna alata, che è esattamente
l’immagine che Giovanni vuole ispirare.
La
fase terrestre della persecuzione diabolica racchiude pertanto quattro
differenti quadri persecutori, di cui tre all’interno del capitolo 12 ed il
quarto estendentesi nell’intervallo dei capitoli 13 - 19. Il riferimento a
Daniele 7 come struttura letteraria appare ancora più evidente attraverso
l’analisi strutturale del testo, secondo la griglia comparativa schematizzata qui
di seguito:
Fase I (Daniele 7,4) "La prima era simile ad un leone e aveva ali di aquila.
Mentre io stavo guardando, le furono tolte le ali e fu sollevata da terra e
fatta stare su due piedi come un uomo e le fu dato un cuore d`uomo”. |
Fase I (Apocalisse 12,13-14) “Or quando il drago si vide precipitato sulla terra, si avventò contro
la donna che aveva partorito il figlio maschio. Ma furono date alla donna le
due ali della grande aquila, per volare nel deserto verso il
rifugio preparato per lei per esservi nutrita per un tempo, due tempi e la
metà di un tempo lontano dal serpente”. |
Fase II (Daniele 7,5) "Poi ecco una seconda bestia, simile ad un orso, la quale
stava alzata da un lato e aveva tre costole in bocca, fra i denti, e le fu
detto: “Su, divora molta carne”. |
Fase II (Apocalisse 12, 15-16) “Allora il serpente vomitò dalla sua bocca come un fiume d`acqua
dietro alla donna, per farla travolgere dalle sue acque. Ma la terra venne in
soccorso alla donna, aprendo una voragine e inghiottendo il fiume che il
drago aveva vomitato dalla propria bocca”. |
Fase III (Daniele 7,6) "Mentre stavo guardando, eccone un`altra simile a un leopardo,
la quale aveva quattro ali d`uccello sul dorso; quella bestia aveva quattro
teste e le fu dato il dominio" |
Fase III (Apocalisse 12, 17-18) “Allora il drago si infuriò contro la donna e se ne andò a far guerra
contro il resto della sua discendenza, contro quelli che osservano i
comandamenti di Dio e sono in possesso della testimonianza di Gesù. E si
fermò sulla spiaggia del mare”. |
Fase IV (Daniele 7,7) "Stavo ancora guardando nelle visioni notturne ed ecco una quarta
bestia, spaventosa, terribile, d`una forza eccezionale, con denti di ferro;
divorava, stritolava e il rimanente se lo metteva sotto i piedi e lo
calpestava: era diversa da tutte le altre bestie precedenti e aveva dieci
corna”. |
Fase IV (Apocalisse 13) "Vidi salire dal mare una bestia che aveva: dieci corna e sette
teste, sulle corna dieci diademi e su ciascuna testa un titolo
blasfemo. La bestia che io vidi era
simile a un leopardo con le zampe
come quelle di un orso e la bocca come quella di un leone..." |
Fase IV (Daniele 7,13) “Guardando ancora nelle visioni
notturne, |
Fase IV (Apocalisse 14,14) “Io guardai ancora ed ecco una nube
bianca e sulla nube uno stava seduto, simile a un Figlio d'uomo; aveva
sul capo una corona d'oro e in mano una falce affilata” |
Fase finale - Giudizio (Daniele 7,9) “Io continuavo a guardare, |
Fase finale – Giudizio (Apocalisse 20,4) “Poi vidi alcuni troni e a quelli che vi si sedettero
fu dato il potere di giudicare” |
Utilizzando Daniele 7 come impianto letterario del “ciclo terrestre” della vicenda del diavolo, Giovanni rivela il criterio di lettura ed interpretazione di tutta la seconda parte dell’Apocalisse: la sequenza di quadri narrativi da Ap 12,13 ad Ap 20,4 è una successione di avvenimenti storici. Come le quattro bestie emergenti dal mare di Daniele 7 sono da sempre state interpretate come la metafora di imperi apparsi in successione sul palcoscenico della politica mondiale, così le quattro fasi descritte nell’Apocalisse, tutte insieme a formare il ciclo terrestre del diavolo, costituiscono una sequenza di fasi storiche. Concludendo, per comprendere come vada interpretato il brano letterario da Apocalisse 12,13 ad Apocalisse 20,4, occorre considerare un’altra grande opera del passato, La guerra del Peloponneso di Tucicide. Lo storico greco compose la sua opera su rotoli di papiri senza separazione in capitoli (o libri). I soli intervalli del racconto erano scanditi da riferimenti cronologici: «Così finì l’inverno e l’anno x della guerra …». La ripartizione dell’opera in libri (o capitoli) come la conosciamo noi oggi risale invece alla edizione di Oxford del 1696.[21] L’artificiale e posteriore suddivisione del capolavoro di Tucidide in capitoli non ha tuttavia intaccato in alcuna maniera la lettura e comprensione dell’opera: si tratta della narrazione di fatti di guerra secondo un criterio rigorosamente cronologico. Nell’Apocalisse la ripartizione dell’opera in capitoli ha invece nascosto non solo la struttura di Apocalisse Ap 12,13 ad Ap 20,4 ma ne ha celato anche il criterio interpretativo, lo stesso dell’opera di Tucidide.
Stabilito che il racconto di Apocalisse Ap 12,13 ad Ap
20,4 è strutturato letterariamente su Daniele 7 e che il criterio di
interpretazione non può che essere lo stesso della profezia biblica, il
criterio di lettura del “ciclo terrestre” deve essere esteso anche al “ciclo
celeste” ed al “ciclo sotterraneo” della vicenda del diavolo. In altre parole,
la sequenza di quadri simbolici da Apocalisse 12 a tutto Apocalisse 20 cela
avvenimenti storici.[22]
[1] Romolo Gobbi, Figli dell'Apocalisse, Rizzoli, Milano,
1993, p. 5
[2] Giancarlo Biguzzi, Apocalisse,
Paoline, Milano, 2005 p. 21
[3] Ibidem
[4] Eugenio Corsini, Apocalisse di Gesù Cristo secondo Giovanni, SEI, Torino 2002, p. 43
[5] Shakespeare lo ricorda in una delle sue
meno note ma più belle tragedie (Re
Giovanni, atto III, scena I, 141 - 146)
[6] Gregory
K. Beale, The Book of Revelation, Wm.
B. Eerdmans Publishing Co., Grand Rapids, Michigan 1999, pp. 680-681
[7] Richard
Bauckham, The Climax of prophecy, T
& T Clark, Edimburgo 2005, p. 433 nota 101
[8] Claudio Doglio, Apocalisse di Giovanni, cit., p. 145.
[9] Ivi, p. 144
[10] Ibidem
[11] Claudio Doglio, Apocalisse di Giovanni, cit., p. 157 e sgg.
[12] Pierre Prigent, Il messaggio dell’Apocalisse,
Borla, Roma 1982, pp. 155-156.
[13] Alfred Wikenhauser, L’Apocalisse di Giovanni, Rizzoli, Milano, 1983, p. 348
[14] Eduard Lohse, L’Apocalisse di Giovanni, Paideia Editrice, Brescia 1974, p. 179
[15] Gianfranco Ravasi, Apocalisse, Edizioni Piemme, Casale Monferrato 2004, p. 7
[16] Ivi, p. 192
[17] Alfred Wikenhauser, L’Apocalisse di
Giovanni, cit., p. 356
[18] Eduard Lohse, L’Apocalisse di Giovanni,
cit., pp. 183-184
[19] Josephine
Massyngberde Ford, Revelation, The
Anchor Bible Doubleday, New York 1975, p. 359
[20] Gianfranco Ravasi, Apocalisse, cit., p.
197
[21] La Guerra
del Peloponneso, Rizzoli, Milano, 1985, p. 9, nota 1
[22] Per una interpretazione dei capitoli 12 –
20 si veda Renato Ammannati, Rivelazione e Storia. Ermeneutica dell'Apocalisse,
Transeuropa, Massa, 2010
Etichette: A. Wikenhauser, Apocalisse 12-20, C. Doglio, chiave di lettura, Daniel 7:4-13; R. Gobbi, E. Corsini, E. Lohse, esegesi, G. Biguzzi, G. Ravasi; ermeneutica apocalittica, interpretazione, Revelation 12-20
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